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When History Becomes Fiction: A Critical Look at Professor Juan Antonio Ríos Carratalá’s Narrative
Introduction
In January 2016, Spanish Literature professor Juan Antonio Ríos Carratalá from the University of Alicante was interviewed by journalist Carlos Arcaya on Cadena SER to present his book Nos vemos en Chicote. Since then, for nearly a decade, he has been repeating —in interviews, conferences, and publications— a discourse filled with irony, sweeping generalizations, insinuations, and moral judgments. Far from seeking historical truth, his rhetoric seems driven by an ideological agenda.
What follows is a series of critical observations based on that interview and on the overall tone of his work. The aim is not to dispute every claim made by the professor, but rather to highlight the lack of academic rigor, the frivolous tone applied to grave historical issues, and the ethical consequences of turning history into a partisan narrative.
Structured Criticisms of the Professor’s Discourse
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A serious topic treated with frivolity.
Laughter, irony, and witty remarks dominate a conversation that deals with executions, postwar justice, and human suffering. -
Denying bias doesn’t make it disappear.
His repeated insistence on neutrality is contradicted by the tone and content of his discourse. -
Who qualifies as “Francoist”?
Anyone who lived during that period, or only those he decides to label? -
Critical thinking or ideological propaganda?
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A symbolic victory in a war already lost?
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Are the portrayed characters truly “sinister” or theatrical inventions?
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Errors regarding key figures cast doubt on the entire work.
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“Colloquial language” does not justify distortions of fact or role.
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Contradictions in naming the judicial instructor of Miguel Hernández’s trial.
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Silence about Republican atrocities reflects bias.
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Generalizations are a form of misinformation.
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The interview lacks any contrasting viewpoint.
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Classifying individuals as executioners without evidence is defamatory.
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Not all individuals mentioned were public officials.
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No documented proof of alleged voluntary participation in executions.
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Claiming “victory” on behalf of families is fictitious and offensive.
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Expurgation and deterioration of archives are not the same thing.
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Speculating on motivations is not the same as documenting them.
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The complexity of human behavior cannot be reduced to political labels.
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“Because I say so” is not a valid historical source.
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What exactly didn’t the families know? The facts or his interpretation?
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What readers discover through his work is the author’s personal obsession.
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Is historical memory safe in the hands of biased storytellers?
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Minimizing the political power of poetry is incoherent coming from a literature professor.
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Claiming that all involved “knew the historical repercussions” is unfounded.
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Who are these “patriotic judges”? Where is the evidence?
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“I’m a professor of fiction”: perhaps the most honest line in the interview.
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Journalists who don’t question become accomplices.
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Turning the past into “entertainment” to sell books is unethical.
Conclusion
Professor Juan Antonio Ríos Carratalá’s discourse is not only lacking in historical rigor but also contributes to the degradation of public debate around Spain’s recent past. Using academic authority to disguise personal or ideological narratives as research is not simply a methodological flaw — it is an ethical failure.
Historians and public intellectuals have a responsibility to handle complex histories without resorting to simplistic, vengeful, or partisan narratives. Media outlets and publishers must also take responsibility when they choose to amplify such messages uncritically.
Because memory is far too valuable to be left in the hands of fiction.
VERSIÓN ITALIANA:
Quando la storia diventa finzione: una critica al discorso del professor Juan Antonio Ríos Carratalá
Introduzione
Nel gennaio 2016, il professore di Letteratura Spagnola dell’Università di Alicante, Juan Antonio Ríos Carratalá, è stato intervistato dal giornalista Carlos Arcaya su Cadena SER per presentare il suo libro Nos vemos en Chicote. Da allora, per quasi un decennio, ha ripetuto — in interviste, conferenze e pubblicazioni — un discorso carico di ironia, generalizzazioni, insinuazioni e giudizi morali che, più che ricercare la verità storica, sembrano rispondere a una precisa agenda ideologica.
Quello che segue è un insieme di osservazioni critiche basate su quell’intervista e sull’approccio generale della sua opera. L’obiettivo non è confutare ogni singola tesi, ma mettere in luce la mancanza di rigore, il tono leggero con cui tratta questioni gravi e le conseguenze etiche e culturali di trasformare la storia in una narrazione partigiana.

Critiche strutturate al discorso del professore
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Un argomento serio trattato con leggerezza.
Risate, ironie e battute accompagnano una conversazione che riguarda esecuzioni, repressione e dolore umano. -
Negare il revanscismo non lo rende inesistente.
L’insistenza sulla neutralità è smentita dal tono e dalle affermazioni del discorso. -
Chi decide chi era “franchista”?
Tutti quelli che vivevano allora, o solo quelli che lui etichetta? -
Analisi storica o propaganda ideologica?
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Vincere oggi la guerra persa ieri?
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I personaggi descritti sono davvero sinistri o sono invenzioni narrative?
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Errori gravi su casi concreti mettono in dubbio l’intera opera.
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Il linguaggio colloquiale non giustifica la distorsione dei fatti.
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Contraddizioni sull'identità dell’istruttore del processo a Miguel Hernández.
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La violenza nella retroguardia repubblicana viene ignorata.
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Le generalizzazioni sono una forma di disinformazione.
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Nell’intervista manca completamente il confronto.
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Attribuire il ruolo di carnefici senza prove è calunnioso.
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Non tutti i citati erano funzionari pubblici.
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Non c’è alcuna prova che tutti fossero volontari nelle esecuzioni.
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Attribuire vittorie morali a famiglie inconsapevoli è assurdo.
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Espurgo e deterioramento degli archivi non sono la stessa cosa.
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Inventare motivazioni non equivale a documentarle.
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La complessità umana non può essere ridotta a etichette ideologiche.
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“Perché lo dico io” non è una fonte storica valida.
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Cosa non sapevano esattamente i figli? I fatti o la sua interpretazione?
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Il libro rivela più sull’autore che sui personaggi.
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La memoria storica è in buone mani se gestita da persone così parziali?
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Sminuire il potere politico della poesia è incoerente per un professore di lettere.
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Dire che “tutti sapevano le conseguenze storiche” è una pura illazione.
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Chi sono questi “giudici patriottici”? Dove sono le prove?
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“Sono professore di finzione”: forse la frase più onesta dell’intervista.
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Il giornalista che non fa domande è complice.
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Trasformare il passato in “carne da macello” per vendere libri è immorale.
Conclusione
Il discorso del professor Ríos Carratalá non solo manca di rigore storico, ma contribuisce ad abbassare il livello del dibattito pubblico sulla memoria del passato recente della Spagna. Utilizzare il prestigio accademico per diffondere narrazioni personali o ideologiche come se fossero ricerca storica non è solo un errore metodologico: è un fallimento etico.
Chi si dedica alla storia, nel mondo accademico o nella divulgazione, ha il dovere di affrontare il passato con complessità e rigore, senza semplificazioni ideologiche o spiriti vendicativi. Anche i media e gli editori hanno la responsabilità di non amplificare acriticamente certi discorsi.
Perché la memoria è troppo preziosa per lasciarla in mano alla finzione.
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